Prof. Angelo Antonio Falmi
docente di Tecniche Pittoriche all’Accademia di belle arti di Brera a Milano
La cromia degli animali
...non ricordo di aver sentito dei passi…
ma una immagine mi guardava
mentre io mi chinavo disegnando un animale sulla sabbia di una spiaggia.
Ci giocavo ore in quella grande spiaggia che finiva nel mare
...non avevo ben capito se l’immagine che mi guardava sorridendo voleva essere ritratta,
immortalata in quadro quadrato , dalle misure classiche precise, poi cercai pigmenti , colle, pennelli e iniziai un di-segno che fotografa nei minimi particolari quello che vedevano i miei occhi.
Ecco è questo che vedo e trovo nei colori di Malossi , dove l’artista cerca e trova l’anima nascosta degli ANIMA-LI come esseri anima-ti e del loro corpo vivente.
Nel lavoro minuzioso, scientifico, l’artista con una precisione maniacale senza sbavature rivela attraverso la pelle esterna, le piume il contorno di un “essere” vivente che vuole vivere nella creatività e nella bellezza nascosta del suo pensarsi “Natura” viva.
La formazione scientifica e lo studio dell’architettura si trovano nei suoi studi per arrivare al prodotto finale costruito come una casa, i cui confini sono il disegno esterno degli animali.
Guardando e osservando i suoi lavori si trovano pietre preziose i “diamanti” che emanano luce ed eternità, pietre vive che rappresentano tutti i valori della vita.
Gli animali sono simboli che ci accompagnano nella nostra vita nelle nostre feste e celebrazioni, negli animali dipinti dal Malossi vedo trovo spiritualità e incontro tra linguaggi e culture.
Enrico Maria Davoli
Docente di storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Bologna
Alberto Malossi, una pittura animistica
Ci sono molti modi di raffigurare la vita animale e vegetale immersa nel suo ambiente, ma tutti si possono ricondurre, con un grado di approssimazione più o meno elevato, a due modalità essenziali: la prima di tipo naturalistico-mimetico, la seconda di tipo schematico-ornamentale.
Ognuna delle due presenta vantaggi e svantaggi reciprocamente bilanciati.
Quella naturalistico-mimetica ha le capacità pedagogiche e didattiche che affascinano gli appassionati di documentari televisivi, i fotografi, i cultori del birdwatching. Lo spettatore è messo in una posizione simile a quella di chi guarda da uno spioncino e assiste ad uno spettacolo che si suppone completamente veritiero, perché chi si trova dall'altra parte è ignaro di essere osservato.
Quella schematico-ornamentale, invece, mette in moto una partecipazione empatica. Una partecipazione basata non su una visione passiva e distaccata, ma su un contatto quasi tattile, che ristruttura le immagini secondo orditure geometriche prestabilite, come quando si tesse un tappeto o si piega un foglio di carta per farne un origami.
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Alberto Malossi opta decisamente per questa seconda strada. La sua pittura mette in vibrazione reciproca tutte le cose, gli esseri animati e quelli inanimati, secondo lunghezze d'onda che danno luogo a increspature, ventagli, vortici. Movimenti che attraversano il quadro cristallizzandosi in particelle schierate ordinatamente, a seconda delle texture a cui debbono corrispondere: distese erbose, corolle, cespugli, cieli striati di nuvole.
Quello di Malossi è un mondo che somiglia alla Flatlandia dell'omonimo romanzo (1884) dello scrittore britannico Edwin Abbott Abbott. Le creature che abitano Flatlandia si muovono e agiscono non in tre, ma in due dimensioni. L'esistenza in piano, compressa e schiacciata, è, dal loro punto di vista, del tutto naturale e conseguente. Al netto della vena satirica, relativa alla società vittoriana dell'epoca, che percorre il romanzo, quel mondo è l'esatta controparte, modulata e stilizzata, del mondo che ci figuriamo nelle più consuete tre dimensioni. Mentre le tre dimensioni diluiscono, sfumano, dilatano il visibile, al contrario le due dimensioni della Flatlandia di Malossi lo intensificano, lo rassodano, lo compattano, con un effetto più prossimo al mosaico o all'intarsio che alla pittura in senso stretto.
Ecco allora che la nostra attenzione è calamitata non dalla mimesi ma, semmai, dal suo complementare: il mimetismo. E cioè, da quell'insieme di proprietà morfologiche e cromatiche che fanno sì che, in una ambiente naturale, ogni cosa si leghi a tutte le altre, come se tutte fossero attraversate dal medesimo flusso energetico, dallo stesso alito di vita. Dunque i rettili strisciano, gli uccelli volano, la vegetazione ondeggia nel vento - questo dice l'esperienza - ma in realtà i vari movimenti potrebbero anche scambiarsi a vicenda, e le cose inanimate prendere vita, e quelle vive bloccarsi come pietre, per sfuggire ai predatori invisibili ma sempre presenti.
La catena della vita torna a mostrarsi così come appariva ai primi uomini: un dispositivo magico, votato in ugual misura, senza alcuna distonia rispetto al suo disegno originario, alla vita e alla morte e, perciò stesso, all'eternità. Definire semplicemente “ecologica” la visione di Malossi potrebbe essere limitativo, non adeguato al modo di essere di queste immagini. Sarebbe forse più opportuno definirla - con un termine che, in antropologia e in storia delle religioni, si applica alla mentalità primitiva - “animistica”.
Nella sua accezione originaria, non inquinata da intellettualismi superflui, quello animistico è uno stato di comunione tra le cose e con le cose, che fa sì che il soggetto si identifichi col mondo, sacralizzandolo. In tale accezione, ogni forma di vita è necessaria; perfino le pietre sono portatrici di un'essenza che arricchisce il mondo e ne intensifica le vibrazioni. Su queste frequenze si sintonizza, amplificandole per farcele vedere e toccare con mano, la pittura di Malossi.